I dati rilasciati dalla Corte dei Conti nel mese di luglio delineano un quadro più che allarmante: tre milioni di contribuenti, pur dichiarando, non sono riusciti a pagare le tasse. A questo si aggiunge che, mediamente, su dieci avvisi di irregolarità inviati dall’Agenzia delle Entrate ne viene saldato uno solo.
Negli stessi giorni, uno studio della Cerved rileva che tra il 2021 e il 2022 le società a rischio di default sono cresciute quasi del 2% e che le società cosiddette vulnerabili nel triennio 2019-2022 sono passate dal 29,3% al 32,6%.
Imprese “fragili” che si trovano soprattutto al Sud, dove costituiscono addirittura il 60% del totale. E tra le province messe peggio, quelle che contano il maggior numero di aziende a rischio, indovinate un po’… c’è proprio Reggio Calabria.
In ballo oltre le centinaia di migliaia di imprenditori pericolosamente vicini al fallimento ci sono oltre 3 milioni di lavoratori, quasi 1 su 3, che rischiano di andare a casa.
Eppure la situazione è sotto gli occhi di tutti: non c’è liquidità, accedere al credito è divenuta un’impresa quasi impossibile, l’inflazione all’8% sta divorando i risparmi, i prezzi dell’energia e dei carburanti continuano ad essere fuori controllo con il conseguente aumento dei costi di produzione e gestione che si riverberano sui consumatori, i cittadini, insomma, tutti noi.
E il Pnrr, il piano di ripresa e resilienza che avrebbe dovuto far ripartire l’economia, stenta a fornire risposte adeguate alla crescita, soprattutto al Sud dove gli Enti Locali, già in affanno sulla gestione corrente, non sono strutturati per gestire una tale mole di progetti e risorse nei tempi previsti.
Come se tutto ciò non bastasse, sono partiti già da un paio di mesi i rimborsi per i prestiti richiesti durante l’inizio della pandemia, il famoso Bazooka finanziario tanto strombazzato dal Governo dell’epoca e presentato come aiuto straordinario a supporto delle imprese che, in realtà, è servito solo a farle indebitare ulteriormente. Debiti che ora devono iniziare ad essere ripagati.
La verità e che dall’inizio della più grande crisi economica che mai ci siamo trovati ad affrontare negli ultimi decenni, le strategie messe in campo dallo Stato hanno avuto una sola costante, purtroppo negativa: non hanno affrontato con decisione e coerenza gli innumerevoli e gravi problemi finanziari generati dalla pandemia tendendo solo a posticiparne la soluzione il più possibile e attuando nel frattempo interventi spot insufficienti e inefficaci.
E alla fine, come ciliegina sulla torta, si è deciso per decreto, travisando clamorosamente la realtà, la fine della crisi. Tutto, secondo l’Esecutivo, sarebbe dovuto tornare alla normalità anche se di normale nella situazione che stiamo vivendo c’è poco o nulla.
Via, quindi, aiuti, sospensioni, proroghe, sostegni di qualsiasi genere. Con buona pace degli oltre 200 miliardi di consumi lasciati sul tappeto per colpa della pandemia, dei lockdown, delle limitazioni, che sono stati caricati interamente sulle spalle delle partite iva.
E adesso con l’imminenza delle elezioni tornano le promesse, l’attenzione, le rassicurazioni.
Noi ci aspettiamo fatti, le parole le porta via il vento che, una volta finita la tornata elettorale, soffia forte e le disperde.
Ci aspettiamo provvedimenti decisi e sistemici, iniziando da un radicale intervento a livello tributario che comprenda una vera pace fiscale destinata non a coloro che evadono ma a chi dichiara ma si ritrova, non certo per colpa sua, senza le risorse per poter onorare i propri debiti.
Ci aspettiamo l’attuazione di azioni, rivolte specialmente ai territori più in difficoltà, atte a diminuire il costo del lavoro aumentando al contempo le retribuzioni per i dipendenti e misure premiali per chi non licenzia o crea nuova occupazione.
Ci aspettiamo soluzioni per la crisi energetica, gli aumenti generalizzati, la contrazione dei consumi.
Ci aspettiamo ulteriori strumenti di sostegno per far si che le imprese possano avere la capacità di agganciare la ripresa.
Deve iniziare a prevalere il buon senso, si deve prendere coscienza della reale situazione in cui versano tantissime piccole e micro imprese del Mezzogiorno e ci si deve rendere conto che la forbice tra il ricco nord e il sempre più povero Sud sta aumentando esponenzialmente.
Proprio il contrario di quello che il Pnrr si proponeva nei principi ma, evidentemente, non nella sostanza.
Claudio Aloisio
Presidente Confesercenti Reggio Calabria